Libereresti in natura un Poiana che abbia subito un intervento di amputazione di
una zampa?
Ed una Taccola? Un Passero domestico? E perchè no, un Rondone?
La risposta è molto articolata ed addirittura a volte non v'è risposta finchè non
si prova la reintroduzione. Ciò che vorrei affrontare non sono le varie risposte
alle domande sopra poste ma piuttosto l'iter che porta alle valutazioni
prognostiche che è necessario fare ogni volta che si tratta un animale
selvatico. Bisogna innanzitutto conoscere lo status della specie, inteso come
presenza numerica sul territorio rapportata alla capacità portante del
territorio stesso al fine di recepire l'importanza che quella specie riveste per
il territorio da cui proviene. Altro punto cruciale nella valutazione del caso
sono le chance che il soggetto avrà di rimanere competitivo con i suoi
conspecifici, con le sue prede ed i suoi predatori. Liberare un animale non in
grado di competere equivale a farlo morire. E' inoltre fondamentale capire se
l'animale sarà in grado di svolgere la sua normale vita dopo che saremo
intervenuti (molto importante, ad esempio, nella valutazione ai fini
chirurgici). Molto spesso mancano i dati bibliografici a supporto di una o
dell'altra tesi e può capitare di ritrovarsi a condurre uno studio pilota sulle
capacità di quella specie di sopravvivere ed accoppiarsi.
Non va assolutamente trascurato poi, il tasso di stress indotto sull'animale
dalla detenzione e dalla nostra presenza o le variazioni che la detenzione
induce nel soggetto unitamente alla quantità di stress che il soggetto stesso è
in grado di tollerare. Questa valutazione deve indurci ad adeguare la nostra
metodologia alla specie ma, anche e soprattutto, al soggetto che abbiamo
davanti. Non farlo comporterebbe una grave mancanza che potrebbe pregiudicare la
vita stessa dell'animale.
Da tutto ciò emerge un postulato essenziale, a mio avviso, nella veterinaria che
si occupa della fauna selvatica: "Il trattamento adeguato di una specie
selvatica è possibile soltato se si conosce perfettamente il suo comportamento
in natura".
Il veterinario che si occupa di fauna selvatica non può prescindere l'animale dal
suo ambiente e dalle sue abitudini e performances. Deve possedere le conoscenze
necessarie a riconoscere situazioni (anche comportamentali) patologiche e per
fare ciò, deve necessariamente trascorrere quanto più tempo possible studiando
gli animali in natura al fine di avere un termine di paragone e di conoscere
esattamente le performances fisiologiche delle varie specie. Questo può avvenire
solo lavorando in team con gli addetti allo studio dell'ambiente e della
biologia di specie. Purtroppo non si può passare le giornate a studiare la fauna
perchè non è il nostro lavoro e quindi necessariamente si deve trovare un
compromesso...
In definitiva la valutazione del soggetto selvatico richiede tutta una serie di
informazioni aggiuntive da sommare al quadro di salute dell'animale,
informazioni che ci permettono di scegliere una tecnica o un'altra, di
discernere tra i sintomi e di intuire quali possano essere le scelte da
perseguire per l'animale che stiamo esaminando.
A volte è proprio un rompicapo... ;)